
Protesi d’anca: ne parliamo con il Dott. Marco Villa
Le difficoltà generate da importanti condizioni come la coxartrosi (artrosi all’anca) e la gonartrosi (artrosi al ginocchio) sono davvero invalidanti e colpiscono una fetta di popolazione ancora attiva. Queste malattie degenerative, però, hanno una possibile soluzione grazie a interventi di chirurgia protesica.
Affrontiamo il tema dell’intervento di protesi d’anca con il dottor Marco Villa, specialista in Ortopedia della clinica Fabia Mater, esperto nella chirurgia protesica dell’anca.
“Le protesi di anca sono tra gli interventi di maggior successo, come riportato da diversi studi clinici. L’elevato tasso di soddisfazione è legato al ridotto tasso di dolore post-operatorio, al rapido recupero funzionale, alla possibile ripresa della attività sportiva nei pazienti più giovani a circa 6 mesi dall’intervento. Al recupero clinico si aggiunge la durata della protesi che oggi supera il 50% a circa 25 anni dall’impianto. Nonostante i successi ottenuti, la procedura, in casi limitati, può incorrere in un insuccesso”, spiega il Dott. Villa.
Che cos’è la coxartrosi?
Semplificando un po’ i concetti, potremmo dire che la coxartrosi è una malattia che va a colpire la cartilagine che ricopre la testa del femore e la cavità dell’anca in cui si muove la testa del femore stesso. In pratica questa malattia fa in modo che lo strato di cartilagine vada con il tempo assottigliandosi sempre più, fino a scomparire del tutto con la conseguenza che le parti ossee inizino a sfregare l’una contro l’altra.
Non solo, questo sfregamento porta anche a infiammare altre parti molli come tendini e legamenti. Il risultato? Il paziente svilupperà un dolore cronico con una drastica riduzione della fluidità dei movimenti articolari” spiega il dottor Villa.
L’anca è coinvolta in ogni movimento del corpo e sostiene gran parte del peso corporeo: non ci sono alternative all’uso dell’anca e con una coxartrosi in stato avanzato si sviluppa immediatamente un’invalidità grave nel paziente.
Quando è indicata una protesi dell’anca?
In un’artrosi di IV grado, ovvero quando vi è un diretto contatto tra le ossa, senza interposizione del tessuto cartilagineo, e quando i sintomi lo giustificano, è indicata una Artroprotesi o protesi totale dell’anca malata.
L’obiettivo della chirurgia è quello di:
- Eliminare il dolore
- recuperare la funzione e la mobilità (con l’aiuto di una valida equipe di fisioterapisti con cui normalmente il chirurgo collabora)
- fornire un impianto che sia il più duraturo possibile negli anni.
Da cosa dipende il successo di una protesi dell’anca?
Il successo chirurgico dell’impianto protesico, dipende da 3 fattori:
- un paziente correttamente selezionato e preparato all’intervento (indicazione chirurgica);
- la corretta scelta dell’impianto basato sulle caratteristiche cliniche e radiografiche del paziente
- Un intervento ben programmato ed eseguito.
Un’ideale indicazione chirurgica che porterà verosimilmente ad un importante successo, è un paziente con dolore severo all’anca affetta, in cui l’anamnesi, l’esame clinico (i test effettuati durante la prima visita ambulatoriale) e gli esami strumentali (radiografie, risonanze ecc) confermano la diagnosi.
Una indicazione chirurgica dubbia, in cui bisogna valutare attentamente il caso, perché possibile insuccesso chirurgico, è costituita da un paziente che presenta dolore a più articolazioni contemporaneamente, in cui i test clinici sono incerti, gli esami strumentali non sono sufficientemente convincenti e vi è una importante depressione di base.
Una corretta scelta dell’impianto riguarda il tipo di fissazione (utilizzare un impianto cementato per i pazienti più anziani, oppure non cementato per i pazienti più giovani), il disegno (protesi di rivestimento, per i soggetti più giovani, attivi, di sesso maschile, protesi a conservazione del collo femorale, per i pazienti giovani attivi con un soddisfacente patrimonio osseo, protesi di disegno più tradizionale per i paziente meno giovani, con un patrimonio osseo meno affidabile ed un rischio di mobilizzazione più basso) la scelta dei materiali (protesi con accoppiamento della testina in metallo oppure ceramica che ruota all’interno di un inserto in polietilene Cross-linkato con o senza antiossidante, oppure protesi con accoppiamento cosiddetto “duro” in metallo su metallo oppure ceramica su ceramica).
Un intervento ben programmato ed eseguito viene effettuato mediante quello che in gergo viene definito Planning preoperatorio (pianificazione). Il planning viene effettuato progettando l’impianto sulla base di alcuni parametri radiografici specifici:

e sovrapponendo appositi lucidi forniti dalle aziende delle protesi, alla radiografia sul diafanoscopio (vedi sotto):

Una corretta pianificazione aiuta il chirurgo nella scelta del disegno protesico che meglio si adatta alla anatomia patologica del paziente (riproducendo l’anca artificiale più prossima possibile all’anca biologica controlaterale), alla misura delle taglie, a minimizzare il più possibile una differenza di lunghezza degli arti (inconveniente frequente nelle protesi dell’anca, che appare tollerabile fino a circa 10 mm). Lunghezza degli arti che appare sempre nella norma, quando si effettua un impianto delle anche bilaterale (inserendo la stessa protesi in entrambe le anche).
Quali sono le attuali novità sulle protesi dell’anca?
Un capitolo oggi di grande attualità, è il cosiddetto approccio chirurgico o via di accesso. Al contrario delle protesi di ginocchio, le protesi di anca hanno la possibilità di essere impiantate attraverso diversi approcci chirurgici. I più utilizzati nel passato erano la via antero-laterale, la via laterale, la via postero-laterale. Negli ultimi anni, questi approcci hanno subito diverse evoluzioni verso metodi sempre meno invasivi, meno aggressivi verso il tessuto cutaneo, le fasce tendinee, i muscoli principali (motori dell’anca), permettendo un più agevole e rapido recupero. Oggi, un Ortopedico esperto di protesi di anca è in grado di scegliere la miglior via chirurgica in base alla anatomia patologica e alle caratteristiche fisiche del paziente, di ridurre il sanguinamento durante l’intervento, ridurre l’estensione della cicatrice, rispettare la muscolatura dell’anca potendo mettere in piedi il paziente nel giorno stesso in cui è stato operato, se l’anestesia lo permette.
Rispetto al passato, difatti, non si effettuano più trasfusioni di sangue, se non in casi sporadici o molto selezionati (pazienti molto anziani, con anemia pre-esistente, in genere sotto terapia cronica anticoagulante), la durata dell’intervento si è ridotta in modo rilevante, limitando fortemente il rischio infettivo (forse la complicanza più grave nelle protesi di anca) ed il rischio di lussazione dell’anca, non si utilizzano più i drenaggio e talvolta i cateteri vescicali, permettendo una precoce mobilizzazione e deambulazione del paziente.
Grazie a queste novità, oggi si possono operare più articolazioni contemporaneamente, come una doppia protesi di anca, una doppia protesi del ginocchio, oppure una protesi anca e una protesi del ginocchio insieme, se necessario per il paziente ed in condizioni di relativa sicurezza, con ovvi vantaggi (1 sola anestesia, un solo ricovero, una sola riabilitazione). Il vantaggio maggiore che ho riscontrato nelle protesi di anca (ad oggi circa 50 casi) è che, inserendo contemporaneamente una protesi di anca destra e sinistra, utilizzando la stessa via di accesso, con la stessa protesi, la stessa taglia, la lunghezza degli arti è risultata sempre piuttosto simile, favorendo un rapido recupero post-operatorio.
Una volta impiantata, in quanto tempo è possibile recuperare una perfetta autonomia?
Un articolo di recente pubblicazione internazionale su un campione numericamente molto importante (circa 6000 casi) con controlli ad 1 anno dall’intervento, ha diviso i pazienti sottoposti a protesi dell’anca in tre categorie:
- fast starters (87,7%) che recuperano molto velocemente
- slow starters (4,6%) che recuperano un po’ più lentamente
- late dippers (7,7%) che recuperano in un tempo maggiore rispetto agli altri
I fattori che influiscono negativamente sulla capacità di recupero sono stati età > 75 anni, fumo di sigaretta, obesità, genere femminile, classe di rischio ASA III-IV, depressione, accessi chirurgici laterale diretto ed anteriore (non di ultima generazione), morbo di Parkinson.
Ma una volta impiantata, quanto dura una protesi?
Secondo i registri nazionali di Australia e Finlandia, quindi su un numero elevatissimo di impianti, il tasso di sopravvivenza di una protesi è di circa il 60% dopo 25 anni